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stefania 1 Writing upon


Oggi non si può immaginare
nessun’altra configurazione dello Spirito:
è l’arte a offrire il prototipo
della configurazione.
Theodor L. W. Adorno

Una nuova “Assunzione” nell’arte contemporanea

di Giovanni Battista De Andreis

Attratta all'improvviso al Cielo, la Vergine sembra perdersi in uno scompiglio di vesti entro cui le sue estremità si scompaginano nello smarrimento della terra che è venuta a mancare. Se tutto ciò che in basso la comprende, non escluso il rossore alle piante dei piedi, sembra ancora risentire dello «scottante contatto terrestre», non appena lo sguardo si innalza tutta la sua figura pare pietrificarsi nell’abbaglio di una visione sconvolgente: come interamente vulnerata, attraverso gli occhi e tutta se stessa, da un raggio insostenibile. Ecco, ogni bagliore di energia mortale, che fin quassù l’aveva sostenuta, rifrangersi e disperdersi tutto intorno, sconfitto  da una energia divina che dall’alto le plasma volto e mani di Luce immortale.

volto

Questa l’immagine sacra che, con una disciplina simile all’ascesi, oggi Stefania Massaccesi consegna alla storia dell’arte contemporanea.

Una grande tela che si pone inedita e innovativa nel contesto dell’iconografia tradizionale, e solitaria, nella diffusa disimpegnata latitanza dell’arte di oggi dai territorî del »sacro». Originalità che attualizza e potenzia l’evento sacro anche nell'urgenza dell’artista di rappresentare - in primo luogo, - l’inafferrabile comprensibile shock di un trapasso da una dimensione «reale» a una dimensione «altra.»

In Massaccesi, un proprio sdoppiamento nella sostanza di un «mistero» esistenzialmente sofferto data l’estrema conflittualità di un percorso di vita consumato dalla meditazione, rivolto alle forme dell’assoluto e alla sacralità di un’arte divina.

Prima con il canto, poi con la pittura, forzate condizioni di clausura e di silenzio che per metà della vita l’hanno sequestrata da appartenenze e convenzioni sociali con le conseguenze dolorose di un vero apartheid esistenziale.

Massaccesi ci consegna una Vergine assunta in cielo, in cui la rappresentazione della tradizionale estasi viene trasfigurata in una autentica e contemporanea «apoplessia mistica». Un trapasso dalle tragedie e travagli della Terra alle spazialità sconcertanti dello Spirito, che ogni coscienza, credente o no, non può non riconoscere e sentire vicina e attuale.

Originalità e sapienza stilistica che si liberano nella scomposizione delle pieghe marezzate della veste che sembrano sfuggire le leggi di gravità, nello strabismo prospettico dei piedi e degli occhi, nell’abbaglio inedito del volto e delle mani.

Oltre riverberi di auree ed energie celesti, un avvenimento nel contesto di un cielo fatto di pura dimensione cosmica, saturo di vibrazioni e proiezioni – che l’artista precisa come «campo elettromagnetico del cuore», - sopra una Jerusalem notturna rabbrividita dalle tonalità fredde di una «notte dei tempi», in cui visionarietà e gestualità richiamano gestazioni e fremiti da Theotokopoulos a Zurbarán, da Feininger a de Kooning.

Nella complessa pluralità di stili e percorsi, dall’antico a oggi, tra la dissoluzione odierna di linguaggi e ideali, nell’impervia Babele di idiomi oggi intersecante il mondo dell’arte, questa la «porta stretta» che Stefania ha cercato e saputo varcare. Fissa a quell’unico richiamo della Bellezza che, unica, può salvare il mondo. Cui suonano da corona le parole di Juan de la Cruz: “En la tarde de la vida será interrogado sobre el amor.”

(Questo testo figura nel catalogo Stefania Massaccesi ASSUNZIONE edito per i 100 Anni della Banca Popolare Valconca 1911- 2011)

La via interiore


Il volo della compassione

di Maria Gloria Riva

Il Cielo è il suo trono. Un Cielo che nel suo azzurro turchino non dimentica l’ombra della croce, appena visibile nei giochi di colore dietro a questa Vergine estatica, bellissima, assunta, di Stefania Massaccesi.

L’artista rielabora le sue ardite prospettive caricandole, questa volta, di un profondo senso religioso i cui confini si tendono fra certezza e domanda. L’abito di Maria così denso, così carico di luce solare narra di un mistero che abbaglia, un mistero che si desidera e insieme si teme. Proprio come il sole.

Lei, la Vergine, tende le braccia verso quell’infinito che ha tessuto tutta la sua esistenza fin dal concepimento. Apre le braccia Maria, ma mentre la mano sinistra addita già, carica di tensione, la meta ultima della sua esistenza terrena, l’altra mano indugia verso una terra che comprende aver bisogno, ancora, di una Madre.

Ed è proprio questa mano che invita a dirigere lo sguardo verso il basso, verso quella terra che i piedi purissimi di questa Madre–Bambina hanno solcato. E allora la vediamo, lì sotto, stretta nell’abbraccio freddo di monti ombrosi e di bagliori sinistri di fuoco, Gerusalemme. La città delle aspirazioni di ogni uomo, la città cui Dio ha donato molto e ha chiesto molto di più.

Narra un midrash che dieci porzioni di bellezza aveva Dio da assegnare al mondo. Ne diede nove a Gerusalemme e una al resto del mondo. Aveva Dio dieci porzioni di scienza: ne furono destinate nove a Gerusalemme e una al resto del mondo. Ma Dio aveva dieci porzioni di sofferenza ne diede nove a Gerusalemme e una al mondo intero.

E le nove porzioni di sofferenza si declinano nell’opera di Massaccesi dentro il gioco dei colori: i bianchi freddi e taglienti, i rossi accessi e violenti e le ombre lunghe e blu di una notte che prima di essere condizione temporale è condizione spirituale.

Questa notte però conosce un approdo, anzi un punto di luce altissimo. L’Artista ce lo vieta. Non ci permette di vedere la fonte di questa purissima luce. In modo naturale siamo indotti a pensare alla luna, tanto argenteo è il raggio di luce che squadra gli edifici e accarezza il dorso delle colline gerosolimitane, invece no. Non è quello il punto sorgivo della luce ma è più in su, i piedi della Vergine imbrigliano in certa misura quella luce e ci spingono in alto, più in alto. Ci spingono diritti dentro gli occhi della Madre-Bambina. Là, dove la luce disegna il profilo del collo e della guancia fin su oltre il volto, in quello spicchio di luce purissima che è l’aureola.

Eccola lì la fonte di tanto candore: sono gli occhi di Maria. Così veri, così limpidi, così prepotentemente fissati in quell’attimo eterno.  Vorremmo vedere cosa vede. Vorremmo anche noi, che siamo pur tuttavia ancora quaggiù sotto i suoi piedi immacolati, dentro le contraddizioni terribili della nostra personale Gerusalemme, vorremmo anche noi fissare lo sguardo in quella luce eterna che tutto rischiara a dispetto delle nostre interminabili notti di illusione. Vorremmo, ma rimaniamo qui sotto il riflesso cangiante del suo manto di sole. La donna vestita di sole sale, verso il cielo che l’ha abitata un giorno nella sua maternità. Lei la Platytera, colei che è più vasta dei Cieli. La Vergine dal grembo che contenne ciò che i cieli dei cieli non seppero contenere, cioè Cristo, nell’opera di Stefania Massaccesi è così umana da farci percepire quei Cieli più vicini, più terreni. Se gli occhi di Maria risplendono già dell’azzurro purissimo del Cielo che la abita, i piedi di lei mostrano di non voler salire.

Ciò che più fortemente mi affascina di questa modernissima Assunta è proprio lo scorcio dei piedi. Maria non vuole salire, i suoi piedi sono colti nell’attimo di chi, sorpreso da un impeto di vento gagliardo che trascina verso l’alto, vuole rimanere. Maria non può abbandonare questa terra così gravida di ombre e contraddizioni. Maria vuole solcare con noi il mare della storia. Ci è compagna, ci è di fianco. Rimane. Ed è in questo rimanere di Maria che Dio, il quale è confinato dai più nel suo purissimo Cielo, si fa materno e vicino. Dio ci è noto fra desiderio e timore, fra il volo ardito e la compassionevole discesa di questa Vergine Madre.

(Questo testo figura nel catalogo Stefania Massaccesi ASSUNZIONE edito per i 100 Anni della Banca Popolare Valconca 1911- 2011)


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