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Nuovi orizzonti per l’agricoltura
del terzo millennio

Considerazioni su uno scritto di Germano Celant per l’Espresso

di Giovanni Battista De Andreis

Marina Abramovic, Balkan Epic
Marina Abramovic: Balkan Epic, Hangar Bicoc­ca, Milano 2006

“Dinnanzi al pubblico si dipanano azioni come la copulazione maschile dei prati per un positivo raccolto e l’ostentazione delle sessualità femminili per scagionare le piogge. In altri filmati un uomo si masturba per far crescere il grano o un gruppo di giovani esalta la morbidezza del proprio seno per far risvegliare, su questi dolci cuscini, il congiunto morto.”

Chi scrive è Germano Celant, nella rubrica Arte de l'Espresso. “Eros propiziatore” è il titolo dell'articolo. Celant, guru teorizzatore dell’arte "Arte Povera", così spiega l’originalità dell’artista balcanica Marina Abramović. “Per Abramović l’importanza di preservare i rituali e le manifestazioni linguistiche del passato [i corsivi sono miei] è un momento cruciale della sua opera che – precisa - essendosi svolta, dal 1975, nell’ambito della performance, affonda le sue radici nella storia dell’espressività corporale.” Da questo, secondo Celant, “Nasce il desiderio di ripercorrere o ricostruire al museum Guggenheim di New York, gli eventi performativi prodotti negli anni ‘60 e ‘70, da artisti come Beuys, Nauman, Export, Acconci, Pane e della stessa artista. ”A questo punto - spiega sempre Celant - “tale evento è spiegabile come «Una rimessa in scena che aspira a far rivivere un linguaggio che per sua natura non è salvabile né completamente documentabile, sia sul piano dell’esperienza che delle immagini.»”

“Fortuna nostra” - prosegue Celant - “a Milano Abramović ha cercato di documentare il dissolvimento di riti propiziatori, dalla connotazione altamente sessuale, che segnano la cultura pagana dei balcani.” E quasi conclude - affermando ciò che noi non abbiamo mai saputo - che cioè “Nell’antichità peni, vagine, seni erano strumenti di difesa contro le forze negative.” Per cui, ne consegue: “Ritornando alla sua terra l’artista ne ricostruisce alcuni.”

Ignoro l’uso che il signor Celant ha fatto da ragazzo del proprio membro, e l’importanza di tale attrezzatura nel corso nella sua vita. Ciascuno ne fa l’uso che ritiene più appropriato. Nell’adolescenza mi è capitato di masturbarmi in un modo che ancora oggi ricordo, anomalo benché panteistico. L’ultima cosa che al momento potevo immaginare era che stessi esibendomi in un “rituale balcanico”, per quanto mi trovassi posizionato su una cima delle Alpi Marittime. Una forma nuova di arte dunque, certamente ante litteram - poiché correvano gli anni ’50 - che appena dieci anni dopo si sarebbe chiamata Body/Performance Art. Purtroppo, come lo stesso Celant deplora, quella mia solitaria esibizione non era, per sua natura, salvabile né completamente documentabile. Per quanto la realtà di quel mio «rito propiziatorio dalla connotazione altamente sessuale» resti soltanto un ricordo, sarei disponibile a replicarlo - dietro esplicita richiesta - al Guggenheim Museum di New York o meglio al Louvre, davanti alla Gioconda.

Fin qui nulla di strano. A destare invece qualche perplessità sulle reali intenzioni di Celant è dove - nella premessa a quanto finora riportato -, sembra assillato dall'urgenza di salvare linguaggi perduti. Egli afferma che “nell’arco di un secolo sono migliaia i linguaggi destinati a sparire per sempre, poiché molti di essi sono tenuti in vita da pochi individui o da una sola persona anziana. Eppure il linguaggio è fonte di identità e conoscenza tanto che l’ebraico, scomparso 2 mila anni fa e mantenuto in vita da cerimoniali e testi, una volta recuperato è diventato la lingua di milioni di persone.”

Paul Cézanne, Bagnanti sulle rive dell'Arc

Paul Cézanne: Bagnanti sulle rive dell'Arc, olio su tela, circa 1888-90

E’ a questo punto che estrae la Abramović e la di lei esigenza di preservare le manifestazioni linguistiche del passato. Che consisterebbero - per chi ancora non conosce l’opera dell’artista -, nel masturbarsi davanti ai germogli del grano, strusciarsi le mammelle per far resuscitare morbidamente i propri defunti, schizzare sperma a raggiera sulle zolle: tutte iniziative che in qualche modo andrebbero recuperate. Al punto che potrebbero, secondo Celant, diventare la lingua di milioni di persone. Oltreché, è mio augurio, aprire orizzonti inediti per l’agricoltura biotech terzo millennio.

Un parere del signor Celant sarebbe, a questo punto, illuminante.

Come egli ritiene sia possibile, per un qualsiasi osservatore profano, riuscire a discernere un individuo che si masturba tranquillamente en plein air, da un «artista» che, mediante lo stesso atto, si trova invece alle prese con il riaffioramento delle «radici balcaniche dell’espressività corporale?»

Oltre a un ultimo dilemma, non meno problematico. Per un individuo determinato a restare estraneo a implicazioni di ordine estetico – non di rado impegnative quando non addirittura superflue, - come è necessario comportarsi, per non essere considerato artista. Visto che soltanto masturbandosi corre il rischio di entrare nella Storia dell’Arte?

Storici futuri potrebbero scorgere in questa sublimazione postmoderna dell’onanismo il senso più profondo dell’arte di oggi e della grandezza della Abramović.

Allo stesso modo con cui viene continuamente riscoperta la grandezza di Van Gogh o Cézanne. Altri, assai più realisticamente, potrebbero invece interpretare questi escamotages dell’artista balcanica come la consacrazione della propria più assoluta inettitudine.

A chi infine – come forse è il caso di Celant, - ha trascurato nell'infanzia le molteplici possibilità delle proprie dotazioni sessuali, non resta che abbandonarsi à la recherche du temps perdu.


Le carote del Barone

Tre capolavori in sala da pranzo

di Giovanni Battista De Andreis

Il barone von Tyssen
Il barone von Tyssen-Bornemisza in un ritratto di Lucian Freud

Il barone Hans Heinrich Ágost Gábor Tasso Freiherr Thyssen-Bornemisza de Kászon et Impérfalva, noto più semplicemente come barone von Thyssen - Bornemisza, proprietario di una delle più celebri collezioni d'arte del mondo, soleva bere ogni mattina succo di carota. "Per non perdermi nulla dei miei quadri," diceva. Carote e vista, uno stupendo binomio per tenere a bada capolavori straordinari di ogni epoca.

A cominciare da quando aprì al pubblico nel 1937, nella sua residenza svizzera sul lago di Lugano, Villa Favorita, la sua collezione. Una galleria di statue e dipinti antichi e contemporanei, risultato della raccolta appassionata di due generazioni di Tyssen.

Una raccolta che comprendeva non solo un eccezionale Jeronymus Bosch, ma anche un Van Gogh e due Gauguin di tutto rispetto sistemati occasionalmete anche in sala da pranzo.

Privilegi non alla portata di tutti, evidentemente: invidiabile eredità di una aristocrazia germogliata e coltivata prima nel cervello che nella ricchezza materiale. A cui non tutti sono portati, compresi gli intoccati da crisi generalizzate come l’attuale. Certamente, se come sottofondo a questa confortevole sala da pranzo dovessi anche immaginare un pezzo musicale non saprei, quanto ad aristocrazia, chi scomodare. Il trio opera 100 di Schubert, è la prima opera che mi viene in mente. Ma anche un raga di Ravi Shankar, o un buon pezzo di Shakira, per stare più leggeri.

Questa la differenza, in due parole, di un uomo che oltre a vivere compiutamente la propria epoca, in tutte le direzioni, riesce a compenetrarsi anche in epoche passate, selezionando per proprio esclusivo piacere quanto di meglio può alimentare non solo il cervello ma anche un sopraelevato piacere fisico. Ciò che spesso ci si dimentica: è proprio l’intero nostro corpo a essere primo destinatario e beneficiario del «piacere». Ben prima della mente. Ed è l’arte la depositaria privilegiata di un piacere reale per quanto non soltanto interamente «fisico». Ciò che da sempre sembra essere stato dimenticato da filosofi o scrittori d’arte. E’ possibile immaginare un brano musicale che non contempli un vero piacere fisico? Per restare comprensibili a tutti è sufficiente l’ascolto di uno scatenato rock, un “Bolero” di Ravel o, per i più sofisticati, una volta di William Byrd. Ciascuno così trascinante e coinvolgente da riflettersi in «vibrazioni» reali del corpo.

Suona quasi ridicolo, oggi, insistere su questa irrinunciabile dimensione fisica della musica, così come di tutta l’arte in genere. Ogni arte figurativa e, tranquillamente, anche narrativa o esclusivamente poetica. Sufficiente, per quest’ultima, leggere ad alta voce la morte di Ulisse nel XXVI Canto dell’Inferno, per provarlo.

Non esiste dimensione estetica che non ritrovi nel corpo la sua più naturale, autentica e spontanea collocazione. Una corrispondenza quasi perfetta tra le regole dell’Universo e la naturale costituzione del nostro essere.

Van Gogh, Paesaggio

Van Gogh: Paesaggio, già della Collezione von Tyssen

Il peggiore disastro provocato da tanta estetica idealista – Benedetto Croce non certo ultimo, - di una fruizione esclusivamente «mentale» dell'arte, (di un sentimento esclusivamente concettuale) è quello di avere privilegiato una supremazia del cervello quasi da aut-aut. "O capisci ciò che questo quadro, poesia ecc. significano, oppure sei spacciato!" Soltanto acrobazie intellettuali e concettuali – non di rado snob - che non possono che risultare intimidatorie al profano che tenti di avvicinarsi all’arte.

In tal senso, può essere che le carote del Barone facciano veramente bene a tutti.

Che prima di arrischiarsi a entrare in un museo o in un teatro, facciamo buona scorta di questo provvidenziale ortaggio. Soprattutto, lasciando da parte tanti sedicenti miracolosi manuali alla Flavio Caroli, fatti per accedere all’arte in modo psico-esistenzial-concettuale.

Per concludere - assieme al Barone, - più carote e meno Caroli.


In alto, De Andreis: Página en blanco, 2010. Oil on canvas, 40x40 cm